Punta Penna, Punta Aderci, il cane che si morde la coda e la politica che non sceglie

Punta Penna, Punta Aderci, il cane che si morde la coda e la politica che non sceglie

Nel continuo mordersi a vicenda, Punta Penna e Punta Aderci, non più parti dello stesso corpo, entrano in guerra. Un fazzoletto di territorio vittima da decenni delle ambigue “non-scelte” della politica, è piombato nella fase del conflitto permanente, annunciato dai prodromi degli scorsi anni: dalle lotte anti biomasse del 2010, alle proteste ecologiste del 2012 e del 2017, sembra si avvicini la resa dei conti tra i due fronti che da anni combattono per prevalere sul lembo settentrionale dei 16 chilometri di costa vastese.

Su un fronte, gli ambientalisti marciano contro i nuovi insediamenti industriali. Nel fortino le imprese, che ora sembrano decise a contrattaccare a colpi di carta bollata. L’atavico scontro rischia di sfociare nella guerra aperta, con gli industriali – sia quelli presenti da decenni, sia coloro che vogliono aprire nuove imprese – pronti alla battaglia legale per contrastare quello che percepiscono come un clima di deindustrializzazione. Ora si dotano di un nuovo strumento: la neonata associazione degli operatori economici di Punta Penna.

In mezzo, confinata nella terra di nessuno, una politica rintanata nella miope strategia del cerchiobottismo: blandire le associazioni ambientaliste, in grado di mobilitare centinaia di persone nelle loro manifestazioni e di ottenere spazi mediatici per arrivare al cuore di quella fetta dell’opinione pubblica che costituisce un serbatoio di voti per la sinistra; allo stesso tempo, non inimicarsi gli imprenditori e i lavoratori delle loro aziende. Un colpo al cerchio e uno alla botte e tutto resta immobile, fino all’esplodere del prossimo conflitto, da cristallizzare come sempre attraverso il congelatore della burocrazia. Punta Penna e Punta Aderci sono l’emblema vivente, materiale della politica che non decide. E il riferimento non è solo al centrosinistra, ma anche alle precedenti amministrazioni di centrodestra, che nessuna scelta chiara hanno operato.

Paradossalmente, come unanimemente riconosciuto, sono stati proprio il porto e la zona industriale a “preservare” quel tratto di costa. Lo spartiacque fu il molo di ponente: dagli anni Sessanta, quando fu costruito, la sabbia iniziò ad accumularsi all’esterno di quel braccio di cemento, trasformando quello che che mezzo secolo fa era uno scampolo di arenile nell’ampia spiaggia di Punta Penna, oggi spettacolo della natura che accoglie i bagnanti all’ingresso della Riserva. Storie che si intrecciano, dunque, da circa mezzo secolo, in un rapporto di causa-effetto che altrove sarebbe impensabile. Area verde e zona industriale: gli antipodi che si toccano, rendendo – questo va riconosciuto a parziale scusante – complicata qualsiasi scelta di programmazione urbanistica ed economica.

Le aziende esistenti – e, con esse, i lavoratori  – hanno diritto a proseguire la loro attività, avviata decenni prima della legge, voluta nel 1998 dall’allora consigliere regionale Luciano Lapenna (poi sindaco di Vasto dal 2006 al 2016), che ha istituito l’area protetta per tutelare giustamente quel tratto di litorale. La delocalizzazione delle fabbriche è una mera ipotesi che riaffiora periodicamente, ma senza il supporto della volontà politica e della fattibilità economica. Ammesso che possa considerarsi una soluzione in grado di tutelare gli interessi di tutti: ambientalisti, imprenditori turistici, industriali e lavoratori. A maggior ragione in questo particolare momento storico in cui l’Abruzzo - e lo dimostrano i dati economici del 2017 – è fanalino di coda dell’interno meridione. Un altro motivo per difendere ogni singolo posto di lavoro in un mercato che, attualmente, offre scarne alternative a chi resta senza occupazione.

Quello che la classe dirigente dovrebbe fare, però, è programmare il futuro e compiere una scelta chiara. Se si opta per il turismo, non bastano gli eventi estivi, che da soli non possono qualificare l’offerta e indurre i vacanzieri a preferire la Costa dei Trabocchi alle ormai gettonatissime località pugliesi, con Vasto spesso relegata a tappa intermedia, in cui trascorrere una sola notte, per i turisti che, in auto, affrontano il viaggio dal Nord Italia al tacco dello Stivale. Né possono essere l'unico strumento di competizione con le consolidate mete dell'Adriatico settentrionale.

Ma, se si sceglie il turismo e si punta sulla Riserva di Punta Aderci (senza dimenticare Vasto Marina, relegata per un decennio amministrativo al ruolo di comprimaria), poi bisogna fare in modo che sia fonte di ricchezza per i vastesi e non solo luogo in cui godere di mare e natura a costo zero. Sostituire un modello di sviluppo con un altro può essere efficace solo se il cambio di rotta crea opportunità e benessere per coloro che in quel territorio vivono per nascita o per scelta. In caso contrario, la nuova e silenziosa emigrazione giovanile, in atto da almeno sei anni, non si fermerà.

di Michele D’Annunzio (m.dannunzio@zonalocale.it)

Articolo tratto da: www.zonalocale.it

http://www.zonalocale.it/2018/10/31/punta-penna-punta-aderci-il-cane-che-si-morde-la-coda-e-a-politica-che-non-sceglie/36354?e=vasto

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